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«Innanzitutto un enorme grazie a Mali Giggs, la mia migliore amica di quando avevo 15 anni. È grazie a lei se mi sono innamorata di questo sport».

Pochi prospetti americani, al loro arrivo in Italia, si portavano dietro tanta attesa, tanta prospettiva quanto Dana Rettke. Freshman of the Year durante gli anni dell’Università, poi National Player of the Year; poi ancora prima pallavolista nella storia a essere inserita cinque volte nella prima squadra All-America.

Infine lo sbarco in Italia, al Vero Volley Monza: una squadra con ambizioni di scudetto. E subito un forte impatto nel campionato italiano, arrivando a giocarsi lo scudetto in finale contro l’Imoco Conegliano, alla primissima esperienza.

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Ma facciamo un salto indietro nel tempo. Qual è il ricordo più antico di Dana riguardo alla pallavolo?

«Non credo di aver avuto sempre talento per questo sport; è successo un poco alla volta – racconta Dana -. Quando ero alle medie e avevo 12 anni, ricordo che stavo giocando in palestra e provai la pallavolo per la prima volta. Pensai subito che fosse molto divertente, ma di sicuro non fu colpo di fulmine; non riflettei immediatamente di poterne fare la mia carriera».

«A 15 anni la mia migliore amica, Mali Giggs, giocava a pallavolo e io volevo giocare con lei, passar più tempo insieme. È stato solo a quel momento che mi sono innamorata di questo sport e, piano piano, ho pensato a come poter diventare sempre in quello che facevo. Inizialmente ero terribile – scherza -. Il mio coach del college pensava che non avessi sufficiente coordinazione per poter davvero giocare e, quindi, non avessi prospettive. Poi un giorno mi vide usare una palla da basket per palleggiare a pallavolo e, chissà come, decise di darmi un’opportunità».

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La pallavolo universitaria negli USA è un mondo davvero a parte, che in Italia non esiste. Ragazze giovanissime si ritrovano molto presto a giocare in palazzetti da far invidia alla nostra serie A, con un pubblico enormemente caloroso. La passione dei tifosi per la squadra di college della propria città è vissuta in maniera unica. Ci affidiamo alle parole di Dana per raccontare quest’atmosfera.

«Confermo, non c’è nulla in Italia che si possa comparare allo sport nei college americani – racconta Dana - è un mondo completamente differente. Tutti i tifosi vestono i colori della squadra, cantano i cori, conoscono e supportano le giocatrici. Forse l’unica cosa simile è la passione che gli italiani hanno per il calcio: non è solo un gioco, ma la squadra diventa parte dell’identità delle persone. Partecipare a una partita con una tifoseria così calorosa, da giocatore, è un’esperienza; è davvero un ottovolante di emozioni. I tuoi fan sono così appassionati e investiti in quello che stai diventando e facendo che ti senti davvero parte di qualcosa di grande. Il livello, poi, è molto competitivo; ovviamente non come in Italia, ma il grande senso di appartenenza dà a tante squadre e giocatrici una marcia in più».

«Mi piacerebbe che anche la pallavolo in Italia, come il calcio, fosse vissuta con questa passione. Sono stata a una partita del Milan ed è effettivamente incredibile: il tifo è rumorosissimo, le persone cantano e fanno casino, eppure tutto ha l’impressione di essere molto organizzato».

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Cosa ti manca di più degli USA quando sei via?

«Adoro l’Italia, il cibo e le persone, quindi è stato molto facile inserirsi in questo ambiente. Ovviamente però amici e famiglia mancano sempre. Cerchiamo di fare spesso Face Time e telefonate, ma restare connessi è molto difficile.  Ciò che facciamo, gli allenamenti e le partite, tendono ad assorbirti completamente».

Quale pensi sia stato l’ostacolo più difficile da superare nella tua carriera?

«Credo che nella vita di un atleta sia molto complesso rimanere disciplinati anche quando ci si sente soli – conclude Dana -. Vivere e lavorare molto lontano da casa è più complesso di quanto non sembri a prima vista. Negli anni sono mancata, per la mia famiglia e per gli amici, in alcune occasioni importanti; ad esempio ho perso un matrimonio a cui tenevo moltissimo. In questo il mio mindset, molto focalizzato sull’obiettivo, mi ha aiutato molto. Però senza dubbio è una carriera che richiede tanti sacrifici».

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