Superlega 2023 - News.

Simon 2

«La prima volta che ho scoperto la pallavolo, nemmeno sapevo fosse uno sport».

Comincia così il racconto di Robertlandy Simon, giocatore della Gas Sales Bluenergy Piacenza, uno dei centrali più dominanti della storia del campionato italiano di Superlega. Di lui conosciamo i tre scudetti vinti, i due Mondiali per Club, il trionfo in Champions League. L’efficienza quasi ultraterrena in attacco, che in alcune stagioni ha toccato medie del 70% di positività. Quello che invece pochi conoscono sono gli inizi, gli esordi con la Nazionale cubana, i periodi vissuti per le strade di Cuba a sostenersi vendendo zucchero.

«Ho scoperto la pallavolo grazie alle Morenas del Caribe – racconta Simon -. Ricordo che quella leggendaria Nazionale femminile cubana, che vinse tutto comprese due Olimpiadi, si allenava al centro sportivo Velao; io ero lì per accompagnare mio padre. Mi sono ritrovato in mezzo a loro, mi hanno regalato un pallone e io non sapevo nemmeno cosa fosse».

Sei sempre stato bravo a pallavolo o all’inizio hai dovuto faticare?

«No, da giovane ero fin troppo scarso – risponde ridendo -. A 12 anni ero alto 1 metro e 75: tanto ma non tantissimo per la media di Cuba in quel momento. La mia prima passione era il basket, ma gli allenatori mi tagliarono dalla squadra Nazionale giovanile perché non ero adatto e perché la squadra era già al completo. In quel periodo ho provato tutti gli sport, in particolare calcio e baseball; credo che alla lunga mi abbia aiutato avere stimoli differenti, mi ha reso un atleta più completo. La pallavolo mi è iniziata a piacere a 16 anni e pian piano sono entrato nel giro della Nazionale».

Young Simon and Leon

Sono stati gli anni in cui una Cuba talentuosa e giovanissima mise paura al mondo, arrivando a conquistare la medaglia d’argento ai Mondiali del 2010 in Italia. Una squadra trascinata da Simon, da Leal, da un Wilfredo Leon nemmeno ventenne, che sembrava destinata a rinverdire i fasti degli Anni ’90, quando Cuba era una forza inarrestabile.

Poi però, per scelte politiche, quella Nazionale stellare finì per sfaldarsi. A Robertlandy Simon, che voleva perseguire la carriera da atleta professionista all’estero, fu proibito di vestire nuovamente la divisa di Cuba.

«Quando mi buttarono fuori dalla Nazionale, mi venne proibito l’accesso a qualsiasi centro sportivo – racconta -. Allora mi son detto: “Vaff..o”, non potevo rimanere seduto a casa. Sono sceso in strada e ho cominciato a fare quello che ogni cubano fa per sopravvivere, ovvero comprare e rivendere qualsiasi cosa. Soprattutto zucchero e altri alimentari. Sono stato quasi due anni senza giocare a pallavolo, prima della chiamata di Piacenza e della conclusione delle pratiche burocratiche per potermi finalmente allenare in Italia. Credo che alla fine anche queste esperienze per strada mi abbiano aiutato, mi abbiano lasciato qualcosa di buono».

Quanto è stato difficile lasciare Cuba la prima volta?

«Moltissimo – ammette Robertlandy - Soprattutto è stato difficile lasciare la mia famiglia, e una bambina di pochi mesi, senza sapere quando avrei potuto rivederli; ancora non sapevo se il governo mi avrebbe permesso di ritornare. Ma la mia decisione ormai era presa: volevo diventare atleta professionista, venire a giocare in Italia, e niente mi avrebbe potuto fermare».

Ormai sei in Italia da tanti anni. Cosa ti piace di più del nostro Paese?

«Mi piace tutto. Quello che ancora oggi mi impressiona è che in Italia ci sono tantissimi piatti diversi da mangiare a seconda delle Regioni, anche delle singole città o paesini in cui vai. E tutti sono fantastici. Ormai dopo tanti anni mi piace andare alla ricerca di ristoranti un po’ particolari e assaggiare le specialità. I dolci poi mi fanno impazzire. Non ha prezzo stare seduto in compagnia, con magari una birra da bere, un buon piatto da mangiare e un bel paesaggio»

«L’unica cosa che non mi piace dell’Italia, soprattutto del Nord, è la neve. E allenarmi col freddo; alla mia età comincio davvero a patirlo. E la pizza all’ananas».

Simon 1

Abbiamo poi chiesto a Simon cosa gli manchi di più di Cuba quando è lontano.

«Le vere bellezze di Cuba io le ho scoperte tardi. Quando ero giovane non avevo avuto modo di godermela davvero. La cosa che mi manca di più è fare casino – ammette sorridendo -. Per noi cubani è normale andare a casa di altre persone, portare da bere, metter su la musica alta e far festa. Nessuno ti dice niente; anzi, spesso i vicini di casa non si lamentano ma si uniscono e si va avanti fino alle tre di notte. È un modo per stare insieme, anche per conoscere nuove persone. Qui in Italia siamo molto limitati: fare festa o metter la musica, salvo eccezioni, non è ben accettato dalla società, dai quartieri. È un vero peccato perché è molto più difficile fare nuove conoscenze e a volte si finisce per ritrovarsi più soli. Ma noi cubani abbiamo imparato semplicemente a fare a meno delle feste e rispettare la cultura del Paese che ci ospita».

Tornerai a Cuba una volta conclusa la tua carriera?

«Questo ancora non lo so. Non ci voglio pensare troppo. Ora sono molto focalizzato su questa stagione: alla Gas Sales Bluenergy Piacenza non siamo molto contenti del nostro inizio di campionato, ma il percorso è lungo. Dobbiamo essere pazienti, intelligenti e continuare a lavorare. L’importante è esser sempre competitivi, per provare a sfruttare le occasioni che capiteranno». Proprio come l’anno scorso quando Piacenza colse tutti di sorprese andando a stravincere la Coppa Italia.