Superlega 2023 - News.

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Tra il primo campionato italiano vinto da Matey “KK” Kaziysky con la maglia della Trentino Volley (2008) e l’ultimo (2023) sono passati 15 anni.

Basterebbe questa informazione a far capire quanto longeva e incredibile sia stata la carriera di questo straordinario atleta. Una carriera costellata di trionfi, tra cui cinque scudetti e tre CEV Champions League. Oggi, a quasi 40 anni di età, Kaziyski è ancora in grado di fare la differenza in campo; la fa con la maglia dell’Allianz Powervolley Milano.

Ma facciamo un lungo passo indietro nel tempo. Qual è il ricordo più antico di Matey riguardo alla pallavolo?

«I palloni grigi – risponde Matey -. I miei genitori erano entrambi pallavolisti e io sono letteralmente cresciuto in palestra. Ho ricordi di questi palloni bianchi sporchi, che inseguivo e raccoglievo in giro per la palestra, e con cui ovviamente giocavo. Imparare pallavolo in Bulgaria è stato fantastico perché le persone che si impegnavano a insegnarla ci mettevano davvero tanto cuore e passione. Brave persone, che mi hanno dato le basi e mi hanno fatto innamorare di questo gioco nonostante le difficoltà strutturali».

Sì, perché Matey Kaziyski è cresciuto in Bulgaria negli anni immediatamente successivi alla caduta del regime comunista; un periodo burrascoso, che subì una svolta con l’adozione nel 1991 della nuova Costituzione del paese.

«Nel periodo di transizione dal regime – racconta – lo sport ha un po’ sofferto; non avevamo di certo tutto a disposizione. Noi giovani non avevamo abbastanza palloni e finivamo per utilizzare quelli di terza mano, scartati dai ragazzi più grandi di noi. Durante l’inverno nelle strutture faceva molto freddo e magari non si potevano usare le docce. Le persone ancora oggi mi guardano strano quando mi alleno con felpa e pantaloni, mi chiedono: “Non sei scomodo?”. Ma per me è sempre stata l’abitudine».

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Quali sono stati gli ostacoli più grandi che hai dovuto affrontare durante la tua carriera?

«Il primo, per me fondamentale, è stata una scelta. Avevo 14 anni e dovetti scegliere se proseguire o meno gli studi in una scuola importante, in cui avrei sì potuto continuare pallavolo, ma non certo con i tempi necessari a diventare professionista. Il presidente della mia società di allora riuscì invece a convincermi a dedicarmi interamente allo sport. Continuai a studiare e dare esami, ma a distanza. Nel frattempo mi presero ad allenarmi con i più grandi e ho iniziato a imparare e migliorare molto rapidamente. Fu un sacrificio, ma anche una scommessa vinta: se avessi scelto diversamente a quel bivio lungo la strada, la mia storia sarebbe stata probabilmente molto diversa».

«Il secondo grande ostacolo è arrivato al momento del mio passaggio dalla Dinamo Mosca alla Trentino Volley. I dirigenti della squadra russa non mi volevano far venire in Italia, non volevano rispettare gli accordi che avevamo preso. Fu una storia lunga e mentalmente estenuante, con il rischio di subire una punizione che mi impedisse di giocare per anni. Dopo diversi mesi le negoziazioni si chiusero, e si aprì un nuovo capitolo della mia carriera».

Matey Kaziyski Bulgaria

Una volta sbarcato tra i professionisti, chi sono stati gli avversari a farti per primi il “mazzo”? A farti capire che eri arrivato al massimo livello e che ora avresti dovuto fare sul serio?

«Il primo incontro della mia carriera che considero il massimo livello fu con la Nazionale – racconta -. Io ho iniziato palleggiatore, poi sono stato una sorta di jolly per diversi anni, poi sono diventato schiacciatore di ruolo. Ricordo chiaramente un’amichevole contro la Serbia: erano davvero, davvero forti e capii che avrei dovuto crescere ancora per fare la differenza. Tanti miei compagni, in allenamento, mi hanno sportivamente “suonato” ma anche dato una grossa mano a migliorare. Uno su tutti si chiama Nayden Naydenov: uno dei migliori ricettori che credo siano mai esistiti. E anche una delle prime persone a credere in me, al fatto che io potessi diventare uno schiacciatore di posto 4, anche se la mia ricezione ai tempi non era certo delle migliori. Nayden è poi diventato allenatore delle Nazionali giovanili; è stato per lungo tempo una grande spalla per consentirmi di affrontare le difficoltà».

Uno come Matey Kaziyski, che ha giocato un milione di partite, e decine, se non centinaia, di sfide veramente fondamentali, ha dei rimpianti? Ovvero, c’è qualcosa che farebbe di diverso se potesse tornare indietro?

«Non ho rimpianti perché guardando all’insieme sono molto felice di come è andata la mia carriera – risponde KK -. Ovviamente, se devo prender pezzo per pezzo, nessuna carriera è perfetta. Qualunque sportivo può pensare: “Se avessi fatto un punto in più in quella partita magari avrei un’altra medaglia o un trofeo”. Però il percorso è stato talmente buono e soddisfacente che accetto anche le sconfitte, le difficoltà. Forse mi hanno persino reso quello che sono».

Parlando di punti fatti o persi, uno viene in mente in particolare: il Volley Day 2012. Itas Diatec Trentino contro Lube Banca Marche Macerata, finale scudetto in una partita secca. Un attacco di Matey Kaziyski sul 21 a 20 del tie break fu chiamato fuori dallo staff arbitrale e la Lube vinse lo scudetto. In realtà quell’attacco decisivo, come ammisero i replay, era caduto decisamente dentro. Da atleta, come si affrontano ingiustizie di quella portata?

«Eh sì, quella palla rimane nella storia – sospira Kaziyski al ricordo -. Quello che dà fastidio e mi rode è che proprio dall’estate successiva venne introdotto il videocheck. Da atleta però l’unico modo di affrontare certe situazioni è pensare sempre alla sfida successiva. Soprattutto acquisendo esperienza, dopo aver giocato un certo numero di partite, capisci che l’ultima occasione non è mai l’ultima. Non rende certo più facile subire una sconfitta, ma alla fine si impara ad accettarla. Ci sono sempre importati lezioni da imparare nelle sconfitte».

Chiudiamo la nostra chiacchierata con Matey parlando di Bulgaria.

«Ci sono tanti ragazzi talentuosi nel mio paese natale ma, purtroppo, il livello rimane non alto. A me personalmente piace molto lavorare coi ragazzi; mi ci dedico in estate, con una mia scuola di pallavolo, ma non mi sento in grado di farlo ad alto livello. E, per il momento, ancora non ho intenzione di smettere: sono sorpreso persino io dalla longevità della mia carriera. Ritengo che ogni anno in più che riesco a giocare ad alti livelli sia un vero regalo».