Superlega 2024/25: tutte le news | Volleyball World.

Matteo Piano festa legavolley

«Il sorriso, vivere la pallavolo in maniera libera, mettendoci tanto del proprio e di quello che si è. Esporsi e caratterizzare con la propria persona ciò che si fa». Questa l’eredità che Matteo Piano sente di lasciare oggi alla pallavolo dopo che, alla fine di questa stagione, ha scelto di appendere le ginocchiere al chiodo.

Cosa ha significato la pallavolo per la tua vita? Quali sono stati i valori che hai appreso in questo viaggio?

«La pallavolo è stata sicuramente il mio modo per esprimermi – racconta Matteo-, è stata il mio palco. Secondo me ognuno ha il proprio mondo in cui riesce a esprimersi, a trovarsi, a comunicare. Io, devo dire la verità ho una buona versatilità. Nel tempo mi hanno riconosciuto che so fare tante cose e ho sempre avuto paura di non trovare quella in cui eccellere. Poi, tanti anni fa, qualcuno mi ha fatto notare che era la pallavolo. Così è diventato il mio mondo, quello dove sicuramente sono riuscito a dare tutto. L’ho vissuto davvero tanto, anche dando molto di me stesso. Ho avuto modo di ottimizzare e di migliorare tante peculiarità che già avevo. Mi ha permesso di affinare il mio carattere».

Diversi infortuni hanno caratterizzato la tua carriera, facendoti perdere anche diverse competizioni importati. Come si inseriscono questi nel tuo percorso da sportivo?

«Non so come sarebbe stata la mia carriera e la mia vita senza tutti questi infortuni. Sono il ragazzo che sono adesso sicuramente per tutta la strada che ho fatto. E, sportivamente parlando, molta è stata in salita. La tempra, la grinta, la forza che ho adesso penso me l’abbiano data tutti gli infortuni e come sono riuscito ad affrontarli e come poi sono andato a prendermi gli obiettivi o semplicemente a ritornare sempre ai massimi livelli. Ovvio, ne avrei fatto a meno e probabilmente starei meglio fisicamente, magari avrei anche giocato diversamente o di più. So che questo è stato il mio percorso. Credo anche in questo, di aver avuto la sfortuna di averne fatti davvero tantissimi».

Chi ti è stato vicino in questi momenti?

«La mia famiglia e i miei amici di una vita. Sono queste le persone che ti stanno vicino nei momenti più tosti».

Quali sono state le persone significative in questo percorso?

«Gli staff medici che ho avuto sono stati eccezionali. L'ultimo a Milano, in particolar modo, perché comunque con questa società sono capitati tre infortuni. È stato il fiore all'occhiello di tutta la mia la mia carriera sportiva».

Hai cambiato diverse squadre e in ognuna di esse sei riuscito a creare attorno a te un insieme di atleti-amici.

«Ho diversi amici legati al mondo della pallavolo a cui voglio un mondo di bene, con cui siamo cresciuti davvero assieme. Ho la fortuna di poter avere una grande libertà in questi rapporti che non è scontata. Mi viene in mente Jacopo Massari, con cui ho giocato per una vita, così come Daniele Lavia o Simone Giannelli o Oleg Antonov o Nimir Abdel-Aziz. Mi sono arrivate da questi ragazzi delle sensazioni giganti. E io, che sono molto empatico, lo percepisco quando qualcuno mi dice qualcosa di sentito».

Come ti fa sentire pensare di essere riuscito in questi anni a costruire un rapporto d'affetto così grande con tante persone?

«Mi fa un po' imbarazzare, però penso che se sei onesto nei sentimenti, ti torna indietro tutto. Il fatto di fermarmi a fine partita a parlare con tutti anche dopo una sconfitta, mi ha sempre fatto piacere. Penso sia giusto perché ci sono persone che sono venute alla partita per te, e credo che questo mi sia tornato indietro tantissimo. Il fatto di essere liberamente me stesso mi ha permesso di ricevere quest'ondata galattica di affetto che mi è arrivata, è stata davvero gigante. Non è di tutti e non è per tutti, devo essere molto grato di quello che ho ricevuto ed essere felice di essermi comportato così in questi anni. Ed è incredibile anche riguardando gli anni in cui ho giocato di meno».

Da qui è scaturito il pensiero di fare un’ultima stagione. «Lì ho capito che forse c'è stato tanto di più ed è il motivo per cui ho deciso di fare quest'ultimo anno. Oltre che per me, l’ho fatto anche per le persone. Sentivo proprio che le persone mi hanno voluto così bene in tutti questi anni che ho pensato fosse giusto che me le godessi, che le salutassi. Mi è stato donato tanto, e questo mi fa dire, a fine carriera, “Bravo”, perché ho insistito un sacco sui valori della vita. Bello il fatto che sia stato libero, che abbia puntato sull'amicizia, che abbia puntato sul sorriso. Mi è tornato tanto di una filosofia di vita e di pallavolo».

Come hai capito che fosse arrivato il momento di appendere le ginocchiere al chiodo?

«Il fatto che avevo iniziato a dedicare in palestra una quantità di tempo altissima per stare dietro ad alcuni acciacchi. Penso inoltre di aver dato tantissimo e di aver ricevuto altrettanto in ambito pallavolistico a Milano e non so quanto avessi ancora da imparare. Volevo andar via avendo fatto tanto per questa squadra e avendo appreso molto anch'io da essa, ringraziandola. Volevo uscire di scena in grande».

Se ti chiedessero di pensare ai tre ricordi migliori della tua carriera, quali elencheresti?

«La prima Coppa Italia con Modena, la qualificazione olimpica a Rio De Janeiro e la Challenge Cup a Milano, dove ho alzato la coppa da capitano».

Quale consiglio ti sentiresti di dare ai tuoi tanto cari giovani?

«Ci sono tante qualità importanti, così come può essere la tecnica, però è importante coltivare anche i valori umani, perché poi la pallavolo finisce e sono importanti quelli. E poi, soprattutto, ci vuole carattere. Invito tutti ad avere coraggio di essere se stessi».

E ora, quali programmi hai per il tuo prossimo futuro?

«Ho tanti progetti. Spero che mi chiamino per fare radio, vorrei fare televisione, entrare nel mondo dello spettacolo. Da poco sono diventato Ambassador della Federazione Italiana pallavolo, che penso sia una figata gigante».