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«Fra i primi ricordi legati alla pallavolo conservo i viaggi in macchina verso e dopo l'allenamento e la partita con mio papà, che era anche il mio allenatore. Alle volte in macchina eravamo sorridenti, altre volte litigavamo. È una persona molto onesta, quando le cose vanno bene te lo dice, quando non vanno, te lo dice ancora di più».

Quanto la storia di Britt Herbots, schiacciatrice belga classe 1999, oggi giocatrice affermata della Serie A italiana, sia fortemente intrecciata al proprio mondo familiare, emerge bene in questo primo ricordo d'infanzia che l'atleta conserva ancora oggi.

«Sono nata in una famiglia dove la pallavolo era di casa – racconta -. Mia mamma giocava e mio papà invece era un allenatore, dopo essere stato a sua volta un giocatore. In particolare, mia mamma ha giocato fino al quarto o quinto mese di gravidanza. Si può dire che le mie prime finali le abbia viste dalla pancia».

Oggi Britt gioca nel nostro campionato da sei stagioni, e quest’anno in particolare vesta la maglia della Savino del Bene Scandicci, ma i suoi “primi passi” sono stati mossi in terra natia, dove si è avvicinata a questo sport fra le mura di casa. «Da piccola mi hanno sempre portato al palazzetto, sono cresciuta lì. Credo di aver iniziato a giocare con una squadra fra i cinque e i sei anni. I primi passi sono stati vicino a casa, dove mi allenava mio papà».

Per lei non è stato complesso avere il proprio genitore come allenatore, anzi. «È sempre stato molto bello giocare le finali delle serie giovanili con lui come allenatore. Mi sono sempre trovata bene, e anche per le mie compagne non è stato difficile da accettare. Mi sono sempre divertita».

Poi è arrivato il salto di qualità e la raggiunta maturità nel capire che il volley poteva essere qualcosa in più rispetto solo ad un semplice sport. «Il momento nel quale mi sono detta che la pallavolo poteva essere qualcosa di più e mi sono riconosciuta delle capacità, sono stati gli ultimi due anni in cui ho giocato in Belgio, in Serie A. Dopo la prima stagione, a 16 anni, è arrivata anche la prima chiamata in nazionale. Per me è stato molto bello, mi sono allenata con i miei idoli del tempo. Quell'estate ho potuto fare diverse esperienze, ho giocato e da quel momento in poi ho preso la pallavolo in modo molto più serio. Non era più solo divertimento, ma ho iniziato a pensare che potesse diventare il mio lavoro. Questo periodo è stato importante per farmi capire cosa volevo fare, dove potevo arrivare e le opportunità che mi erano state date e il lavoro che avevo fatto fino a quel momento. Infatti poi, ho fatto un altro anno in Belgio perché dovevo finire la scuola e sono subito dopo, a 18 anni, sono andata a giocare in Francia perché volevo vivere questa nuova esperienza».

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Dopo una stagione al Mulhouse Alsace, Herbots è poi approdata al nostro campionato, dove oggi gioca da sei stagioni. «Ho fatto un anno in Francia e poi, a 19 anni sono approvata a Busto Arsizio. Quando mi sono spostata per la prima volta dal Belgio, non sapevo bene cosa aspettarmi. Sapevo però che il campionato italiano era veramente forte, sfidante e competitivo. Ho deciso comunque di fare un primo step in Francia per vedere se potesse piacermi giocare in un altro campionato e conoscere il mio livello come giocatrice, visto che erano gli anni in cui ho cambiato ruolo, da opposto a banda». «L’anno successivo poi, è giunta la chiamata da Busto, di cui tutti parlavano bene. In panchina c’era Marco Mencarelli, un allenatore che aveva esperienza nel lavoro con le giovani giocatrici: la scelta è stata facile e ho deciso di provare, ero molto curiosa. Ero felice mi avesse chiamato Busto Arsizio, un ambiente molto bello e tranquillo, dove ci sarebbe stata la possibilità di lavorare in modo sereno con le giuste persone intorno».

Dopo due stagioni con le farfalle, il percorso l’ha portata alla scelta di continuare a rimanere in Italia. «Ormai è casa mia, e questo mio sentire mi aiuta a rimanerci. Poi non dico di non essere curiosa di conoscere le altre città, gli altri campionati, di vivere altre culture, però qui la pallavolo è bellissima perché il campionato è il più forte del mondo, e vivi bene anche fuori dal campo. Sono l’insieme di tutti questi elementi che mi hanno sempre convinto a rimanerci. Ho fatto quattro anni al nord, adesso son due anni che sono nel centro Italia. Qui è sempre bello, mi trovo bene ovunque. Se non avessi gli impegni con la mia nazionale, ci rimarrei tutto l’anno. Sto bene. Poi vedrò dove mi porterà la pallavolo».

Il piatto italiano preferito di Britt Herbots? «La carbonara».

Dopo Busto Arsizio, ha giocato anche a Novara, mentre nelle ultime due stagioni ha abitato in terra toscana. «Qui si sta bene. Lo scorso anno ero a Firenze, adesso sono a Scandicci, mi sono spostata di pochi chilometri e il palazzetto è sempre lo stesso. Mi piace il fatto che anche se nella città la pallavolo non è proprio lo sport più seguito, perché se guardiamo il calcio è un'altra storia, in qualche modo il palazzetto per le partite è sempre bello pieno e la gente è simpatica, si mangia bene. In più c'è una bellissima città vicina».

Le radici belghe però sono una parte importante della sua storia. «Del Belgio non mi manca il bel tempo – ride-. La pioggia lasciamola lì. Se c'è una cosa che mi manca è sicuramente la famiglia e le cose più semplici, proprio come casa mia o andare al mercato il sabato con mia mamma e mia nonna. Sono cose che mi godo al 100% d'estate quando gioco con la nazionale. I miei genitori riescono comunque a venire a trovarmi, a vedere le partite, a loro piace molto».

E per quanto Britt debba ancora compiere 25, per la propria nazionale è già considerata una delle veterana. «Sono quasi dieci anni che ogni estate do non il cento, ma il duecento per cento, per la nazionale. Non è una squadra con tante pressioni addosso, cerchiamo di fare sempre bene. Con il sorriso, visto che è qualcosa che mi piace, ma non sempre è facile sia fisicamente che mentalmente visto che appena finisce la stagione con il club, si veste la maglia della nazionale e poi si torna subito nel club. Nel gruppo ci sono tante amiche, c'è veramente un bel clima e un bel gruppo. Non siamo la squadra che lotta per le medaglie però so benissimo che possiamo essere una squadra che veramente può dare fastidio a chiunque, e l'abbiamo fatto vedere a qualsiasi torneo, come contro l’Italia al Mondiale. Dentro la nazionale ogni ragazza dà il duecento per cento e c'è un bel clima per lavorare e per giocare».

E questo, per il Belgio è una stagione di passaggio e cambiamenti. «Alcune ragazze andranno via e sarà tempo di ripartire con un gruppo più giovane. Per avere gli stessi risultati di prima ci vorrà lavoro e tempo. Quest'anno abbiamo solo la Golden League che, se sfrutteremo bene, magari potrebbe portate a riprenderci un posto nella Vnl. Credo però che la cosa più importante per noi adesso, e per me personalmente dentro questo nuovo gruppo, sia quello di crescere, far crescere le mie compagne e aiutarle. I tornei più importanti saranno nei prossimi anni. Sono contenta perchè mi sono goduta dall'inizio fino alla fine di ogni torneo con il gruppo che c’era. Adesso toccherà farlo con altre giocatrici. Devo ancora compiere 25 anni ma credo che le ragazze di quindi e sedici anni che arriveranno mi chiameranno nonna».

Nella vita di Britt c’è tanta pallavolo ma anche Mats, il tuo shiba inu, il compagno di mille avventure, con cui in questi anni ha instaurato una relazione davvero molto forte.

«Sono sempre stata una grande amante dei cani. In Italia, da sola, ho iniziato a pensare di poter prendere un cagnolino. Di testa mia ho iniziato a cercare e mentre ero in Belgio con la nazionale, ho visto online che c'era una cucciolata di shiba inu vicino a casa mia. Ho deciso quindi, nel giorno della festa della mamma, di andare a vedere questi cuccioli. Ne ho visti sei, e mentre la maggior parte se ne è andata, e uno di loro mi è venuto incontro. Ho pensato fosse il destino e che non potessi lasciarlo lì. La prima a cui l’ho comunicato è stata mia sorella, che si è subito messa a piangere. Siamo poi state a casa da mia mamma e appena l’ha visto è andata in panico perché erano preoccupati di come avrei fatto a tenerlo con me. Alla fine oggi Max è l'amore della famiglia. Quando i miei vengono a trovare me, vengono a trovare anche a lui. È bellissimo perché i cani ti amano senza se e senza ma: se un giorno l'allenamento va male, quanto torni a casa lui ti sorride e ti ama lo stesso, non gli importa del resto. È qualcosa che dona leggerezza, che ti fa stare sempre bene, è una compagnia che non puoi descriverla veramente, è amore».